Tra i Fuochi Arcani: Capitolo I - La Partenza

Un sacco, poche cose, la nebbia, la partenza in una fredda notte.
Un solo pensiero mi assillava nella quiete notturna, cercare di arrivare alla misteriosa porta che separa il mondo dei sogni, in cui placidamente vivevo e sognavo, da quello chiamato reale, dove tutte le cose hanno un loro posto e appaiono per ciò che realmente sono.

Partii senza niente con me tranne qualche vivere e un po’ d’acqua, eppure il sacco che mi portavo dietro era pesante come se, inconsciamente, lo avessi riempito di oggetti inutili.
Certo, dietro mi portavo un sacco di ricordi, cianfrusaglie del passato e del presente, pensieri su un immaginario e irreale futuro, la testa pesava così come il cuore, erano anni che tenevo quelle cose dentro di me e lì avevano fatto il nido.
Ero l’esempio di persona che arrivata alla morte tutta la vita gli passava davanti, un turbinio di emozioni incontrollate, indomabili, dissepolte dalla paura e dall’ignoranza.
Ma dove stavo andando non c’era nessuna identità, nessun nome da chiamare, non c’erano tutte quelle inutili fittizie della mente ne sussurri nel buio, c’era solo una chiara visione di ciò che era, niente passato, presente o futuro.

Avevo molte paure, molti dubbi silenziosi, ed essi si agitavano in me come serpenti primordiali, strisciavano indisturbati dentro il mio cuore e lì si nutrivano delle mie mancanze, delle mie incoscienze.
Gli uomini hanno sempre paure innaturali e dubbi nascosti nel buio, nessuno sa che si vive la propria vita nell’illusione del vivere, senza scoprire di non aver mai vissuto neanche un solo attimo di vita vera.
Tutti muoiono nei sogni e sono pochi coloro che si svegliano durante la vita, e a quei pochi grava sulle loro spalle il peso della responsabilità della verità.

Avevo bisogno di vedere dov’era la realtà, di toccare il vero, di tacere per sempre alle parole che si aggrovigliavano nella mia mente, tutto questo anche solo per quel respiro che tanti hanno bramato ma mai nessuno, o almeno solo in pochi, hanno raggiunto.
Eppure non sapevo se il mio percorso avesse realmente una fine, sapevo solo che non si poteva tornare indietro, che ciò che ero si andava trasformando e svanendo, restava solo la strada d’innanzi a me e quel desiderio di spingersi oltre i limiti dell’uomo.
Ma che importava oramai del passato, delle cose lasciate indietro e mai ottenute? Dove può mai dirigersi una persona che, seppur ha perso tutto, nulla vuol più avere dalla terra?

Il percorso freddo che affrontavo ogni giorno era isolato dal mondo, nessuno lo conosceva, eppure all’inizio era semplice, percorribile da tutti e fin troppo tranquillo, ma mi accorgevo piano piano che durante il tragitto molte cose nel sacco andarono perdute e continuavano a perdersi durante le notti.
Terra e acqua si mescolavano insieme, il fango mi copriva di nero il corpo, mentre il vento aizzava la pioggia a far affogare i miei pensieri.
Dovetti vagare per molti mari, laghi, montagne, attraversare fitte foreste e innumerevoli ostacoli, non sapendo mai quanto realmente percorsi e quanti giorni passarono da che mossi il primo passo. Ben presto mi accorsi che tutte le cose a cui ero legato andarono perse per sempre, sia che si trattassero di ricordi o di legami con persone a me care.
Non sapevo più chi ero, a cosa miravo, dove dovevo andare e perché ancora camminassi, un sacco di domande senza risposta mentre nell’animo si agitavano strane forze.
Quando tutto ciò accadde, quando per la prima volta mi fermai in preda al dubbio, non bastò l’enorme ombra proiettata su di me a farmi capire che la misteriosa porta, l’entrata arcana per la realtà, era d’innanzi a me e a sorvegliarla c’era uno strano guardiano.
Quella strana figura non aveva forma ma bensì mutava ogni minuto, e le sue forme erano tutte spaventose, agghiaccianti, impossibili da poter descrivere perché non esisteva parola umana per far capire l’orrore che mi assalì in quell’attimo.
Misi da parte la paura e mi feci coraggio avanzando nella nebbia della notte.

“Troppo oltre sei andato. Qui finisce il tuo viaggio, o umano”.

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