Freddi
rintocchi d'estati
sulle
palpebre rosse,
venti
dell'est
che
pervadono il mio corpo,
ma la
lucentezza del mattino
si è
bevuta il terreno.
Le
campane celestiali mi ricordano
che sono
figlio del mio tempo,
che
trascorro questo tragitto
come una
clessidra
che non
vede l'ora di spegnersi
e
ingoiare di nuovo
la sua
sabbia.
Gli
enormi blocchi
formati
dagli scogli del mare
mi
incitano a varcare
il muro
d'ebano,
alzati
ai quattro venti
le
chiamate del gruppo di angeli,
un
soccorso temporaneo
nel
vuoto celebrale.
Bianche
le scritte
su quel
muro d'orrore
che la
civiltà ha mangiato, bevuto
e
sonnecchiato abbastanza
per
dimenticarsi del luogo
da cui
siamo giunti.
I
rintocchi caldi dell'inverno,
la porta
del paradiso,
l'accoglienza
dello spirito alato,
alla
fine un serpente piumato
nacque.
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